Scrivo
e devo farlo
per trasmettere le sensazioni che provo
in questo periodo così turbolento
e poi mi rileggo e scruto me stesso in questo torpore serale
che comincia dal mattino e che si insedia nella fantasia.
Le dita si intrecciano
e incespicano sulla tastiera bianca del pc
mentre corrono per raccontare dell’anima
nella sua più naturale manifestazione: Io.
E la scelta del soggettivo piuttosto dell’oggettivo
è decisamente voluta.
Tutto molto scontato e superato,
scavalcato dai tempi e anacronistico
per la velocità con cui si acquisiscono i dati
che solo dopo qualche minuto non sono più realistici,
ma le tracce che permangono sul foglio
restano ad impressione di una storia
e del suo sentire,
quella di noi
che abbiamo bisogno di fissarlo in qualche modo
per vedere come tra le parole si insinuano filamenti
che rapidamente crepano
per ciò che c’è al di sotto
e che vuole uscire premendo senza riverenza per alcuno,
neanche per l’autore che riscopre qualcosa di sé
che spesso
diventa molto di più che qualcosa.
Da stamattina
desideravo essere qui davanti al monitor
in cui il cursore fa da anticipazione
alle lettere che verranno dopo
che partoriscono parole su parole
le quali lentamente
assumono il significato voluto
e si delinea il motivo per cui sono state scritte,
ma non sono riuscito
per le mille cosa da fare il sabato
che da libero diventa il giorno più impegnato,
unica consolazione
che sono cose che riguardano e interessano solo me.
Ora che però
sto nuovamente lasciando
questo posto dei racconti e degli sfoghi
so di aver lasciato qualcosa che mi appartiene,
come un pezzo di me qui,
e che domani
quando tornerò a leggere,
mi rivedrò come in uno specchio
anche se non troppo levigato
ma sufficientemente chiaro
in un momento del lasciar andare,
dell’abbandono,
e di troppi ripensamenti.